Tempo, tempi.

di Chiara Bertora

Lavoro come maestra da circa un anno, studio per abilitarmi da circa due. I miei bagagli di esperienza sono ancora leggeri.
Durante questo anno scolastico di supplenze, sono arrivata ad oggi alla mia decima classe. Se aggiungiamo la terza bi che mi ha adottata per il tirocinio, siamo a undici.
Sono stata in queste classi in modi anche molto diversi: da insegnante su posto comune – arte, musica, italiano, inglese, matematica, scienze, motoria, storia, geografia, un po’ di tutto- da insegnante di sostegno, da tirocinante osservatrice.

Ho conosciuto moltissimi bambini e questa è una grande ricchezza di cui sono grata a questi mesi di vita. Ho visto tante situazioni. Ho tenuto gli occhi e il cuore bene aperti. Ho riflettuto molto.

Tra le cose che mi sembra di aver capito c’è che entrare in una nuova classe porta invariabilmente una grande emozione. Metti piede in una specie di spazio sacro nel quale, oltre alle presenze vive, tangibili, allegre e chiassose, ci sono delle esistenze invisibili ma prodigiose: sono prima di tutto le relazioni tra le persone, forze invisibili ma potentissime, e le loro ritualità. Una supplente, quando arriva, penetra un mondo di cui sa di dover avere il massimo rispetto. Aprirà le orecchie, gli occhi, il cuore e molti altri sensi non ancora catalogati dalla scienza per riuscire a dare un contributo positivo. E per riuscire a farlo, sa di dover entrare in relazione con i bambini in poco tempo, quel poco che ha a disposizione.

E io cerco di usarlo tutto, me lo gusto tutto, boccone dopo boccone, cercando anche quell’ultimo sapore di pietanza sul pane della scarpetta. Le occasioni da sfruttare sono tante nell’arco di ogni singola giornata e della settimana e quel tempo prezioso è davvero bello riconoscerlo, abitarlo, goderne. Si possono trovare tante minuscole occasioni per riuscire nell’impresa di essere almeno un po’ vicini.

Per esempio, giocare con i bambini nell’intervallo. O partecipare sempre attivamente alle attività degli esperti esterni: teatro, musica, attività sportive. O chiacchierare insieme nell’ora del pranzo.

Fermarsi, sbarazzarsi di altri carichi mentali o organizzativi, giudicare ogni spazio del tempo a scuola come tempo utile all’apprendimento in senso più ampio, giocare, restare sempre partecipi di tutte le attività della classe. Ecco, tutto questo può far succedere cose insperate.

È incredibile quello che può capitarti su un campetto mentre stai giocando a “Fuoco” a canestro, in palestra correndo con un manipolo di ottenni o nell’aula di musica suonando i legnetti. Succede che F, che fa fatica a regalarti un sorriso, che non è mai tra quelli che ti viene a raccontare cosa ha fatto nel fine settimana, con cui difficilmente farai un disegno o una partita a Forza 4, ecco proprio lui, mentre correte in mezzo alla palestra, ti prende per mano e ti tira più veloce che può facendoti correre a perdifiato, le dita intrecciate saldamente, il viso aperto in un gran sorriso. Succede che L, che tiene per intere giornate in classe lo sguardo invariabilmente serio, sempre teso dentro alla sua paura di sbagliare, ti abbracci dopo che lo hai eliminato con un canestro, condensando in un gesto sia la sua onestà sportiva che un momento di insperata prossimità. Ti può succedere che R, chiusa nella sua fatica di tenere il ritmo della lezione, alzi lo sguardo verso di te che in quel momento le siedi accanto e ti dica: “Come si vede che ti piace stare con noi”. Che V ti riveli un giovane amore per un compagno che culla in segreto, e ti chieda “Ma tu sei innamorata?”. O ancora che G, che dice di detestare l’ora di musica, esegua insieme a te la coreografia tribale del maestro L e si senta rassicurata da quell’ imparare, lei con te, da quel muoversi a tempo non da soli, ognuno come può, ma insieme un po’ meglio.

Il mio bagaglio è oggi un po’ più ricco, di voci, di visi, di mani, e di alcune cose che prima non sapevo; adesso so, per esempio, che ogni tempo a scuola, a viverlo per il verso giusto, ha un suo modo, comunque, per brillare.

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